Gli incidenti provocati a Milano dai neofascisti, a seguito dei quali venne ucciso, il 12 aprile 1973, l’Agente della Polizia di Stato Antonio Marino, facevano parte di un preciso disegno eversivo, solo casualmente fallito.
I dettagli del piano erano stati messi a punto in varie riunioni, alle quali parteciparono esponenti di estrema destra legati in particolare a Ordine Nuovo. Tre potenti cariche da un chilo l’una dovevano scoppiare sabato 7 aprile 1973 su altrettanti treni del Nord Italia. Lo scopo? In un mese particolarmente caldo per il governo di centro destra Andreotti, più volte messo in minoranza in Parlamento e salvato dai voti missini, mentre la tendenza al ritorno al centro-sinistra cominciava a farsi strada tra le forze politiche della maggioranza, bisognava ripetere più in grande la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, imporre un’ondata di violenza che, prendendo le mosse dal comizio missino in programma a Milano per il 12 aprile, avrebbe dovuto spianare la strada a un governo militare.
Ma c’è anche un altro obiettivo più immediato. L’operazione deve scattare immancabilmente il 7 aprile. Sabato 7 aprile il giudice istruttore aveva fissato un importante colloquio: con Franco Freda, imputato di aver organizzato l’attentato alla Banca Nazionale dell’Agricoltura nel dicembre del 1969, che dopo le ammissioni autodifensive del suo complice Giovanni Ventura, aveva fatto sapere al magistrato di essere disposto a parlare. Secondo questa tesi, gli attentati del 7 aprile dovevano far intendere a Freda di non scendere a compromessi con il potere, perché a risparmiargli l’ergastolo avrebbe provveduto l’imminente insurrezione nera.
La mattina del 7 aprile 1973 Nico Azzi ex militante di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, ma strettamente legato al Movimento Sociale Italiano, acquista a Pavia un biglietto per Santa Margherita Ligure e sale sul diretto per Genova. Arrivato alle 11,00 alla stazione di Porta Principe, sale a bordo del direttissimo in arrivo da Torino con destinazione Roma.
Alle 11,15 , appena il convoglio si mette in moto, Azzi entra nella toilette della seconda carrozza, punta la sveglia alle 12,25, l’ora in cui la carica deve esplodere (proprio sotto la galleria del Bracco in modo che il treno possa deragliare e il disastro, al chiuso, essere ancora più micidiale).
Abile nell’uso delle bombe (è un ex-guastatore di fanteria) sta maneggiando i fili, quando uno scossone della carrozza provoca il contatto. L’innesco di tritolo dei detonatori esplode. Azzi è ferito: la toilette si riempie di sangue e di fumo. Con una gamba in parte squarciata, il dinamitardo butta dal finestrino la borsa con l’esplosivo, poi esce a chiedere aiuto, finge di essersi infortunato salendo sul treno in corsa. Nessuno gli crede. Viene affidato alla polizia di Santa Margherita Ligure e piantonato all’ospedale.
La notizia dell’arresto dell’attentatore missino, trasmessa dal giornale radio delle 12,00 bloccò gli altri complici pronti ad entrare in azione sulla linea Pisa-Firenze e sulla Trento-Milano.
Nello stesso pomeriggio del 7 aprile, a poche ore dal fallito attentato di Azzi, nella riunione della direzione provinciale del Msi si dà ugualmente il via libera alla seconda fase del piano eversivo.
Il Movimento Sociale Italiano non era mobilitato solo a Milano. Il Msi di Roma aveva invitato tutte le federazioni a far confluire un certo numero di attivisti. E tra il 7 ed il 12 aprile il Msi si invischiò sempre più pesantemente nei preparativi. Quindicimila manifesti truculenti (una macchia di sangue sul profilo di alcuni poliziotti feriti) tappezzarono la città per chiamare i cittadini a raccolta per “l’ordine contro la sovversione”, mentre “Candido” (rivista neofascista) inneggiava apertamente alle ultime barricate di Reggio Calabria.
L’inaspettato divieto di svolgere il corteo e il comizio da parte del prefetto Libero Mazza, accrebbe ulteriormente la tensione degli animi. In testa alla sfilata illegale che alle 17,30 si diresse verso la Prefettura a protestare, erano a braccetto il senatore del Msi Ciccio Franco (animatore della rivolta di Reggio Calabria) e tutto lo staff dirigente milanese del partito.
Con la consegna di fare “più casino possibile” (lo ha rivelato Vittorio Loi arrestato insieme a Maurizio Murelli per aver lanciato le bombe contro Marino) era stato il Msi a portare in piazza 700 uomini decisi a tutto. Le truppe d’assalto da mandare allo sbaraglio facevano capo alle Sasb (Squadre d’azione San Babila), divise in tre tronconi dalle diverse sfumature ideologiche, con quartier generale in altrettanti bar della zona. E’ stata anche accertata l’esistenza di un commando organizzato dal gruppo della Fenice con l’incarico di gridare “arrivano i rossi” al momento del lancio delle bombe.
In via Bellotti e piazza Tricolore uno dei commandos neri, quello di Loi e Murelli fa uso delle bombe a mano. La prima finisce contro un chiosco, per cui l’effetto viene attutito e uno degli agenti ferito ad una mano si accorgerà solo dopo che era una scheggia. Alle 18,30 una bomba SRCM, lanciata da pochi metri, squarcia il petto dell’Agente Antonio Marino.
Poco prima, in via Castelmorrone, era rimasto ferito da una pistolettata fascista il quattordicenne Giuseppe Cipolla.
Un particolare interessante messo in luce dai quotidiani di quei giorni è rappresentato dal fatto che la bomba che ha dilaniato il povero Antonio Marino proveniva dal Car di Imperia, presso il quale aveva prestato servizio il dinamitardo Nico Azzi.
ANPI OGGI – num. 5-6 , 2007 , Roberto Cenati
DALLE PRIME PAGINE DEI GIORNALI DI QUEI TRAGICI GIORNI :
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